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Ora che scrivo e mi esprimo unicamente come libero cittadino, e non rappresento più alcuna istituzione, il mio essere Patriota italiano ed europeo continua a farmi rifiutare una particolare etichetta partitica.

Durante il mio servizio istituzionale – come ufficiale della Guardia di Finanza, e dirigente della Commissione europea – ho sempre rispettato il mio dovere di fedeltà alle istituzioni, neutralitàe leale collaborazione con tutti i vertici politici. Indipendentemente dalla loro appartenenza.

Nelle mie intenzioni, scusandomi in anticipo se non vi fossi riuscito nei fatti, vorrebbe essere questo lo spirito anche di questo blog.

Nonostante abbia spiegato le ragioni della mia grande stima, e anche gratitudine, personale per Antonio Tajani, é lo spirito  che mi ha accompagnato in quasi tre decenni di servizio presso la Commissione europea. Dove, pur nei limiti dei miei doveri di lealtà ed indipendenza, e del rispetto dello stato di diritto, non ho mai dimenticato di essere Finanziere e, soprattutto, Italiano. E, come tale, ho sempre fornito ogni mia possibile leale collaborazione, oltre che alla mia gerarchia diretta, anche a tutti i Commissari italiani che si sono succeduti, dal mio arrivo presso la Commissione europea, nel 1990, al mio congedo, nel 2018. Da Filippo Maria Pandolfi, a Vanni d’Archirafi (è stato un piacere rincontrare recentemente l’amico Nicola Bellomo, membro del suo gabinetto, prima di diventare Ambasciatore dell’Ue in Ruanda, e ricoprire poi altre importanti funzioni presso la diplomazia Ue), a Mario Monti (in modo particolare tramite il suo vecchio capo di gabinetto, poi suo ministro degli esteri in Italia, Enzo Moavero Milanesi) ed il compianto Franco Frattini (che, come racconterò più avanti, voleva assumessi la funzione di Vice portavoce della Commissione europea, e capo dell’unità in cui erano inquadrati, nel 2006, tutti i portavoce della Commissione europea).

Sono quindi molto onorato di essere stato onorato della prefazione del mio libro “Io, l’Italia e l’Europa. Pensieri in libertà di un patriota italiano-europeo” da una donna Magistrato di grandissimo valore personale, il cognome della quale è un monumento nazionale della vera lotta alla Mafia. Verso la quale le ragioni della mia grande stima traspariranno in diverse pagine di questo libro. Indipendentemente dal fatto che l’Onorevole Caterina Chinnici appartenga o meno ad un partito politico.

Perché l’antica stima ed ammirazione, squisitamente personale, prescinde dalla sua pur altamente meritoria militanza politica. Anche se non dagli ideali e dai valori, da patriota italiana ed europea, che ha sempre difeso, e che corrispondono in larghissima misura ai miei. Come la lealtà istituzionale, la costruzione europea, i diritti fondamentali, la democrazia, il rispetto dello stato di diritto, e l’Italia e l’Europa della legalità contro le mafie, il terrorismo e l’internazionale del crimine.

A riprova di quanto appena detto (perché, per mio antico ed attuale mestiere, contano sempre più i fatti che le parole) conservo ancora il testo di un messaggio di auguri ricevuto, il 19 gennaio 2014, dal Professore Romano Prodi, in risposta ad una mia lettera nella quale gli avevo trasmesso quella del mio commiato dalla Guardia di Finanza (riportata nel prossimo capitolo).

Collaborai con Romano Prodi quando lui era Presidente della Commissione europea, nella fase iniziale dell’Ufficio europeo per la lotta alla frode (Olaf), del quale io ero il Portavoce. Lo feci, in modo particolare, e con l’accordo del mio Direttore generale, per sostenere l’Italia – su espressa e personale richiesta di aiuto all’Olaf, da parte dei Ministri delle Finanze Vincenzo Visco e Ottaviano Del Turco – nella lotta al contrabbando di sigarette. Fenomeno criminoso diventato un grave problema, anche di ordine pubblico, per l’Italia. Nel 2000, dopo che, a seguito di uno speronamento da parte di mezzi blindati dei contrabbandieri, lungo la costa pugliese, di un’autovettura della Guardia di Finanza, persero la vita il Vicebrigadiere Alberto De Falco ed il Finanziere Scelto Antonio Sottile, e rimasero gravemente feriti il Vicebrigadiere Edoardo Roscica e l’Appuntato Sandro Marras, iniziò l’Operazione primavera. In quella tragica occasione io stesso feci preparare e diffondere un comunicato stampa con la quale, per la prima volta, la Commissione europea esprimeva le sue condoglianze ad uno Stato membro dell’Ue per la perdita della vita di appartenenti a forze dell’ordine nazionali. E lo feci fare in forza del fatto che il contrabbando di sigarette, a contrasto del quale erano caduti i due Finanzieri, é una frode ai danni anche degli interessi finanziari dell’Ue.

Nel suo messaggio, che conservo tra i ricordi professionali più preziosi, il Presidente Prodi mi aveva scritto:  

Illustre e caro Dottore,

ho ricevuto con molto piacere la Sua lettera, che mi ha richiamato ricordi estremamente piacevoli.

Il suo lavoro a Bruxelles è stato infatti straordinario, anche perché bisognava fare tutto dall’inizio e non era certo un compito facile.

Nemmeno era facile vincere una certa diffidenza nei confronti dell’Italia riguardo ad una funzione così delicata come quella che Le era stata affidata.

Per questo motivo trovo del tutto appropriato il finale della lettera che richiama la Sua doppia fedeltà all’Italia e all’Europa.

Sperando che Italia ed Europa possano procedere sempre in armonia, Le porgo i miei più carissimi auguri.

Con molta amicizia,

Romano Prodi

 

Alcuni miei limiti personali

 

Da alcuni dei pensieri e scritti raccolti prevalentemente in modo cronologico in questo libro, e che seguono il mio congedo dalla Commissione europea, nell’aprile 2018, potranno trasparire anche alcuni dei miei diversi limiti.

Quelli di osservatore dell’Italia con occhi europei, e di osservatore dell’Europa con occhi italiani. Occhi formati da oltre trent’anni di vita a Bruxelles, capitale dell’Europa, pure senza aver mai tagliato i rapporti, non solo affettivi, con la mia patria di origine, l’Italia. Che amo come solo gli emigrati, seppure di lusso come me, sanno amarla. Ed anche questo, lo riconosco, può essere un limite.

Traspariranno poi anche alcuni limiti della mia tolleranza, che pur coltivo da sempre verso tutto e tutti – senza alcuna distinzione di genere, razza, religione, posizioni filosofiche, opinioni politiche, condizioni personali e sociali, nazionalità o altro. Questi limiti si manifestano nei confronti di alcuni particolari aspetti del genere umano. Cercherò di indicarne sinteticamente i principali, appellandomi anticipatamente alla comprensione dei miei lettori.

I sovranisti pelosi e gli europeisti da piedistallo

 

Due categorie pericolosissime per ogni vero Patriota, per le ragioni spiegate al capitolo 33: “Europeismo dogmatico e radical chic? Bisogna stare con i piedi per terra”.

L’arroganza del potere e la doppia morale

 

Da figlio di Militare antimilitarista, e Militare io stesso, ora in congedo, ho sempre avuto un senso sacro di ciò che significa essere Militare della Repubblica Italiana. E la emme maiuscola non è a caso. Cioè di fedele servitore della Patria e delle libere Istituzioni, consapevole di accettare anche il rischio dell’estremo sacrificio. Che nulla ha a che fare con qualunque forma di militarismo, che altro non è che la caricatura dell’essere Militare della Repubblica Italiana.

Ogni forma di arroganza del potere, in qualunque forma possa manifestarsi, è sempre stata per me inaccettabile. E l’ho combattuta in tutta la mia vita professionale – incurante dei rischi personali corsi, o che potevo correre – in misura sempre direttamente proporzionale all’importanza della funzione rivestita da chi, ai miei occhi, ne abusava. Perché ho sempre disprezzato coloro che fanno i forti con i deboli, essendo sempre deboli con i forti.

Ho avuto la grande fortuna, in quasi quattro decenni di carriera – militare e presso la Commissione europea – di essermi trovato in tale situazione unicamente con un paio di miei superiori diretti. Me ne ricordo io, e penso se ne ricordino anche loro. Come penso ne abbiano memoria anche gli altri che non erano nella mia linea gerarchica, ma che sono stati testimoni dei confronti avuti con i personaggi in questione.

 

Chi parla di indipendenza e non è indipendente dalle proprie ambizioni personali

 

La corruzione, secondo me, è uno stato dell’animo. E non si limita al ricevere indebitamente denaro o altra utilità per l’esercizio delle proprie funzioni o dei propri poteri. Perché nasce anche, e soprattutto, dall’essere posseduti da smodate ambizioni personali, anche di carriera e, in definitiva, di potere. Che è in fin dei conti la stessa finalità dei mafiosi. Ho parlato di smodate ambizioni personali. Perché avere delle ambizioni personali, anche di carriera, non è un male in sé. Anzi. Ma lo diventa quando non si riesce a porvi limiti. Che dovrebbero essere non solo quelli delle proprie reali capacità personali (di cui molti non riconoscono i limiti), e quelli posti dalla legge, ma anche quelli dell’etica e della morale. Che ognuno percepisce in misura delle sue convinzioni, cultura e educazione.

Nei miei lunghi anni all’Olaf – l’Ufficio europeo per la lotta alla frode – ho sentito discutere molto spesso, e a volte a sproposito, di indipendenza. Che alcuni volevano far credere avessero solo i magistrati. Soprattutto quelli italiani.

Molti fatti di cronaca, e non solo quelli raccontati da Luca Palamara e Alessandro Sallusti, hanno dimostrato il limite di tale assunto. Farò riferimento ad alcuni di questi fatti – seppure in maniera molto edulcorata rispetto alla realtà – nei capitoli che seguono. Assieme alla mia allergia, che difficilmente riesco a celare, nei confronti di ogni forma di integralismo e moralismo rispetto alle condotte altrui, da parte di chi non sia capace di dimostrare, con i fatti e l’esempio, di applicare lo stesso rigore verso sé stesso.

I cialtroni di Pulcinellopoli

In qualche capitolo farò riferimento a quella che io definisco Pulcinellopoli. Non se ne abbiano i napoletani! Perché il concetto non ha alcuna connotazione regionalistica, e tanto meno è riferita alla patria della maschera di Pulcinella. Quella Napoli che invece elogio nel capitolo 30 (Vedi Napoli e poi vivi).

Per me è l’Italia, che va da “Trieste in giù”, secondo il celebre ritornello canoro della grande Raffaella Carrà, di “esseri volgari e spregevoli, arroganti e poco seri, trasandati nell’operare, privi di serietà e correttezza nei rapporti personali, o che mancano di parola nei rapporti di lavoro”. Esseri il cui comportamento viene definito, dall’enciclopedia Treccani, come cialtroneria. E l’Italia della cialtroneria, che spesso diventa uno stereotipo internazionale, che danneggia i tanti italiani con la schiena dritta che rendono grande il nostro Paese nel mondo, mi provoca allergia. La stessa allergia che provo quando riscontro un simile atteggiamento ad ogni altra latitudine.

Perché l’Italia non ne ha certo, al di là degli stereotipi, l’esclusività. In quanto Pulcinellopoli può albergare in tutta Europa e nel resto nel mondo. E, ovunque essa si trovi, ho difficoltà a mascherare l’irritazione che mi provoca.

I vigliacchi e traditori

 

Da tempo ritengo che il popolo italiano sia divisibile nelle categorie descritte da Giulio Andolfato, mio compagno di liceo, oggi rinomato chirurgo vascolare. Grazie a tale classificazione trovo la spiegazione di buona parte dell’incredibile storia italiana. Almeno quella contemporanea: un terzo di delinquenti, un terzo di ignavi e un terzo di eroi.

Non penso che molti altri paesi del mondo abbiano un numero così elevato di eroi.

Ma probabilmente neppure due terzi di delinquenti e ignavi.

Tra questi vi sono i vigliacchi. Che, assieme ai traditori, ho trovato non solo in Italia, ma anche a Bruxelles – Guardia di Finanza inclusa – e sono sempre stati, per me, riconducibili alle peggiori categorie umane.

Peggiori dei peggiori delinquenti. Che a volte sono dotati di coraggio e capaci di non tradire.

Mentre i vigliacchi ed i traditori, che spesso si nutrono di meschinità fatte di invidia e gelosia, non hanno fede, partito, razza, nazionalità, genere, grado o professione.

O meglio, possono appartenere a tutti.

Gli ingrati

 

Un saggio pensiero del papà del mio amico Massimo Baldinato – Vicepresidente per gli affari istituzionali internazionali del secondo gruppo industriale italiano, Leonardo Spa -, che il figlio conserva giustamente vergato a mano, recita: “Non ho fatto nulla per avere riconoscenza, ma l’ingratitudine mi offende”. Ed è un’offesa con cui qualunque animo generoso deve mettere in conto di confrontarsi, anche diverse volte, nella propria vita.

Il disappunto in tali casi risulta a volte difficile da nascondere. Pure nella consolazione offerta, e nell’impegno a seguirne il monito, da Roberto Benigni.  Secondo il quale «è un segno di mediocrità quando dimostri la tua gratitudine con moderazione». Comerisulterà da qualche capitolo di questo libro, nella mia vita, non solo professionale, ho sempre provato a fuggire almeno da questa forma di mediocrità.

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