Alessandro Butticé

Un faro europeo deve accendersi sul «sistema» confessato da Palamara

9 Febbraio, 2021

Se il Consiglio Superiore della Magistratura ed il prossimo Ministro della Giustizia volessero dare un forte segnale di discontinuità con il passato, ma anche della volontà di contribuire al dovere irrinunciabile della politica di ripulire il paese dal letamaio scoperchiato da Palamara, dovrebbero cominciare da un atto molto semplice. Fare adottare come libro di testo dalla Scuola Superiore della Magistratura il libro intervista di Alessandro Sallusti a Luca Palamara: «Il sistema. Potere, politica affari: storia segreta della magistratura italiana».
Renderebbero un servizio al Paese, ma anche ai tanti magistrati per bene che hanno accolto nei fatti, e non solo nelle chiacchiere dei proclami ipocriti e auto-celebrativi di tanti attori della cloaca scoperchiata da Palamara, l’eredità di giganti come Rocco Chinnici, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino. Magistrati eroi e martiri che, assieme a tanti altri meno auto-celebrati o celebrati dal travaglismo nazionale, hanno svolto la loro azione come servizio al Paese. Per la realizzazione di quella Giustizia giusta cui ogni società civile, liberale e democratica dovrebbe ambire. Tutto l’opposto del «sistema» svelato da Palamara, del quale è stato per anni il braccio armato e persino la testa. Senza dare l’impressione di voler sfuggire alle sue confessate responsabilità. Quanto meno morali. Ma con il legittimo interesse a non diventarne l’unico capro espiatorio. Perché il problema dei problemi dell’Italia contemporanea, che è la governance della magistratura, non è certo Luca Palamara, ma il «sistema» che lui stesso ha di fatto governato per un decennio. Che è preesistente alla sua stessa entrata in magistratura e che, senza una fortissima ed urgentissima reazione delle parti ancora sane di questo povero Paese, se non di una vera e propria rivolta popolare, ha grandissime probabilità di sopravvivergli. Attraverso i metodi, ben descritti da palamara, che accomunano il « sistema » solo ad altri tipi di organizzazioni, tristemente note nel nostro paese, che pure si poggiano su quell’omertà e quella pressione intimidatoria ben descritte dall’ex Presidente dell’ANM ed ex membro del CSM.
I giovani e meno giovani magistrati per bene, che sono la maggioranza, ma anche vittime (seconde, nell’ordine, solo dopo i milioni di cittadini presunti colpevoli, o parti civili senza giustizia) del « sistema », hanno il diritto dovere di sapere e ribellarsi, aiutando il paese a liberarsi da questa malapianta che ha menomato da decenni le nostre libertà, la nostra crescita economica e degli investimenti sani nell’economia nazionale, e intossicato le nostre istituzioni e la stessa vita diplomatica del paese.
Da notare poi che le famiglie delle vittime delle mafie hanno da anni il meritato pubblico riconoscimento del Paese, della collettività, dell’opinione pubblica, e i loro cari sono ricordati e celebrati come eroi.
Le famiglie delle vittime innocenti del «sistema» conoscono invece, oltre alla privazione, a volte della stessa vita, dei propri cari, solo l’onta e la vergogna della gogna mediatica del più peloso giustizialismo forcaiolo che ha impregnato l’Italia da tre decenni. Ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Non ho mai stimato, per le ragioni appena spiegate, Luca Palamara. Che oltre un decennio fa fu oggetto di un durissimo attacco pubblico, messo subito sotto il tappeto, da parte di Francesco Cossiga. Che non era proprio un Travaglio qualunque, ma addirittura un presidente emerito della Repubblica, e quindi anche del CSM. E l’attacco non era personale, nonostante l’apparenza, ma solo relativo al fatto che Palamara rappresentava in quel momento, e difendeva anche nell’indifendibile, l’ANM. L’Associazione Nazionale Magistrati che Cossiga senza timore di querele (che invitò provocatoriamente a presentare ma non ricevette) definí «associazione sovversiva e di stampo mafioso ».
Ma devo riconoscere a Palamara che con questa intervista confessione ha reso un servizio meritorio al Paese e alla Giustizia. Oltre che all’onore di tutti i magistrati per bene, molti dei quali, secondo lui, lo hanno incoraggiato a raccontare tutta la verità. Quindi, se è stato dato credito, riconoscimento e protezione al Tommaso Buscetta che ha permesso a Giovanni Falcone di scoperchiare segreti sinora inviolati di Cosa Nostra, e a tanti altri pentiti anche meno credibili di lui, non vedo perché, mutatis mutandis, non bisogna dare credito, riconoscimento e anche pubblica tutela a Luca Palamara – che fino a sentenza passata in giudicato resta un magistrato della Repubblica – nella sua opera e funzione di sistemista pentito. Guardando cioè non solo ai benefici difensivi che hanno tutti i « pentiti », e che alcuni maliziosamente già addebitano alle sue intenzioni, ma anche agli innegabili rischi che corre dal momento che ha deciso di confessare e svelare pubblicamente i segreti sinora indicibili del «sistema».
Sento poi di dover ringraziare, da cittadino prima di tutto, ma anche da vecchio addetto ai lavori e anche da giornalista, Alessandro Sallusti, autore di questo libro intervista. Rammaricato che solo pochi giornali italiani, e tra questi Il Riformista, abbiano sinora dato rilievo al libro e, soprattutto, a quanto raccontato. Lo ha fatto però ieri Antonio Tajani, assieme al circolo culturale europeista Esperia, chiedendo a Sallusti, durante un’affollata conferenza zoom, il «sistema» di Palamara.
Tajani, forte della sua funzione di Vicepresidente del PPE, ma anche della sua esperienza di Presidente emerito del Parlamento europeo, si è impegnato a fare accendere un faro europeo sul « sistema » che, come spiegato anche da Guido Berardis, ex giudice del Tribunale dell’Unione Europea, porta un sicuro pregiudizio al mercato unico ma anche, almeno indirettamente, allo stato di diritto che è uno dei pilastri su cui si fonda l’Unione Europea.
Avendo avuto professionalmente a che fare con la magistratura italiana per tre decenni, fino al 2011, anche dall’osservatorio europeo dell’OLAF, quanto raccontato nel libro di Sallusti, al di là di qualche dettaglio, non ha rappresentato per chi scrive alcuna sorpresa né per l’esistenza né per i metodi di azione del «sistema».
Quando ero portavoce e capo unità indagini dell’OLAF, l’Ufficio Europeo per la Lotta alla Frode, assieme al procuratore della repubblica francese Thierry Cretin, che ha dato una sua idea della giustizia, molto apprezzata e condivisa da tutti i partecipanti all’evento di Esperia, sono stato testimone diretto della metamorfosi di giudizio verso alcuni magistrati italiani, attori del “sistema”, da parte dell’allora nostro direttore generale, dal 2000 al 2010, il Procuratore bavarese Franz-Herman Bruener.
Bruener, arrivato a Bruxelles nel 2000 come grande ammiratore della magistratura italiana, sull’onda della narrativa mediatica internazionale di “Mani pulite”, quando ha toccato per esperienza diretta alcune delle cose raccontate oggi nel libro di Sallusti, cominciò a manifestarmi il suo assoluto disgusto. Disgusto seguito all’incredulità iniziale. Confidandomi che certe cose superavano addirittura i metodi utilizzati dalla Stasi, che lui aveva ben conosciuto, come Pubblico Ministero del processo al leader della DDR, Herich Honecker.
Avendo vissuto la creazione e i primi decenni di vita dei servizi antifrode dell’Unione Europea, dal 1990 al 2011, ho avuto la fortuna di collaborare con alcuni magistrati di grandissimo livello nazionale e internazionali. Tra i tanti, il Procuratore Nazionale Anti-Mafia Piero Vigna, il sostituto procuratore generale della Repubblica di Milano Antonio Lamanna, l’ex PM veneziano Carlo Nordio, e lo stesso Antonio Laudati, una delle vittime del “sistema” raccontato nel libro di Sallusti.
Assieme a tanti magistrati che hanno dato onore al nostro Paese, rimpiangendo molto le mie chiacchierate con Giovanni Falcone a Fiumicino, durante i caffè bevuti assieme in occasione delle sue frequenti partenze per gli Stati Uniti, sono stato però anche direttamente testimone del tentativo del “sistema” – che disponeva di suoi uomini, oltre che presso l’OLAF, presso altri posti sensibili delle istituzioni europee – di mantenere a Bruxelles proprie basi di lancio di missili sempre pronti a essere scagliati contro i governi italiani. In modo particolare, ovviamente, quelli di Berlusconi e dei suoi ministri della Giustizia.
Devo dare merito al Giornale, oggi di Sallusti, di essere stato tra i pochi che, ogni tanto, prestavano una qualche attenzione all’opera del “sistema” a Bruxelles. Ho ritrovato sul web, ad esempio, un articolo del 13 marzo 2006, dal titolo “Talpe alla Ue, indagine su Bruti Liberati”. Quello stesso Bruti Liberati cui Sallusti dedica un intero capitolo e diverse citazioni di Palamara, e che, quando era Presidente dell’ANM era anche, guarda caso, Presidente del Comitato di Vigilanza dell’OLAF.
Altrimenti il silenzio assoluto.
E Sallusti, grazie a Palamara, ha il merito di aver raccontato anche a chi non è stato come me addetto ai lavori – e che come me non ha quindi il diritto di fare finta di cadere dal pero di fronte al questa confessione-denuncia – il perché di questo silenzio omertoso, anche mediatico, di fronte al potere intimidatorio, per chiunque, da parte del “sistema”.
Grazie al libro di Sallusti e alla pubblica confessione di Palamara, tutti gli italiani che vogliono davvero sapere, e smetterla di credere alle favole, a cominciare dai giovani ed aspiranti magistrati, ora non hanno più l’alibi di dirsi increduli e sorpresi. Hanno invece il diritto ed il dovere di chiedere e sostenere con forza una urgente e radicale riforma della giustizia in Italia.
Ma all’estero, non dimentichiamolo, la narrativa è sempre stata e continuerà ad essere diversa. Basti pensare agli anni in cui si leggevano ancora soprattutto i giornali stampati. A Bruxelles, e nel resto dell’Europa, a cominciare dagli aeroporti e sugli aerei, l’unico giornale italiano che si trovava era La Repubblica. Ed il verbo era quello.
All’estero, chi non ha toccato con mano “il sistema” descritto da Palamara, o non ha letto il suo libro o gli articoli de Il Riformista, non può credere che quanto svelato da Palamara sia possibile che accada in un paese democratico ed europeo.
Perché si tratta di una situazione talmente unica in Europa, e nel mondo liberale e democratico – anche se in Italia sembrano ormai tutti assuefatti – che all’estero è impossibile crederci.
Chiedo allora a Alessandro Sallusti ed alla Rizzoli editore: quando verrà tradotto «Il sistema», almeno in inglese e in francese, e se possibile anche in tedesco?Convinto che quando verrà fatto sarà reso un servizio al Paese.
Perché resto certo, come ripetuto in altre occasioni, che l’Italia non riuscirà da sola a riformare questo Frankenstein che è “il sistema”, senza l’aiuto europeo. Anche se questo aiuto dovesse limitarsi alla sola astensione dal rispondere alle inevitabili chiamate di aiuto esterno del “sistema”. Attraverso la solita narrativa a senso unico che, ne sono certo, continueremo ad ascoltare. E che descriverà qualunque intenzione di seria e radicale riforma della giustizia, come il tentativo del Berlusconi del momento di difendersi dalla giustizia dei cavalieri senza macchia e senza paura di quello stesso momento. Si chiamino essi Di Pietro, de Magistris, Ingroia, Davigo, o altro, a seconda della stagione. E indipendentemente dal fatto che alcuni di loro siano anche abilissimi nel sostituire rapidamente la maglietta indossata quali giocatori del sistema, con quella quella di vittime di quello stesso sistema che li ha resi personaggi pubblici, sindaci e altro.
Quindi, spero davvero che Rizzoli traduca al più presto. O permetta magari a think thank come il circolo Esperia di tradurlo e contribuire all’accensione di un faro europeo dopo averlo fatto leggere anche alla Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, al suo gabinetto, ed ai funzionari europei, non solo italiani, abituati da sempre a sentire solo la campana del “sistema”.
Che spesso in buona fede hanno persino sostenuto.
E so di cosa parlo. Come lo sa il magistrato anticorruzione e anti-frode francese Thierry Cretin e molti altri.