A seguito dell’elezione di Elly Schlein segretaria del Partito Democratico, principale partito di opposizione, sotto il titolo di “Fighetti allo sbaraglio”, ho postato sulla mia pagina Facebook un post con una divertente vignetta di Fedozzo. Intitolata a sua volta “Caviale e martello”. Nella quale, una nasuta e sorridente Elly, diceva: “I poveri? Si ne ho sentito parlare in un cineforum. Sembrano normali, ma fanno robe bizzarre… tipo, lavorare”.
Il mio breve commento è stato quello di osservare con grande preoccupazione, dall’estero, dove vivo, quanto accade nel mio Paese. In ragione del fatto che la democrazia, per funzionare, oltre che di una maggioranza di governo seria, ha anche un assoluto bisogno di una seria opposizione.
Concludevo quindi il breve post scrivendo che, da credente, non mi restava che affidarmi alle preghiere a San Francesco d’Assisi, Patrono d’Italia.
A distanza di qualche settimana, non ho cambiato idea, e confermo non essere un suo estimatore. Non certamente per il suo forse un po’ troppo ostentato orientamento gender fluid, e ancor meno per le sue origini, nazionali o altro. Ho infatti considerato orribile e ignobile la sua caricatura pubblicata dal Fatto Quotidiano lunedì 13 marzo. E non perché io non rispetti la libertà di satira – anche quando rischia di sconfinare nel body shaming – che chiunque scelga di fare il segretario di un partito politico deve sapere accettare e mettere in conto. Storiche le orecchie a sventola e la gobba di Giulio Andreotti. Onori ed oneri.
Ma per il subdolo antisemitismo che traspariva dal richiamo nel testo alle sue – sia pure presunte, e da lei stessa smentite – origini ebraiche.
A differenza della vignetta di Fedozzo, che non aveva alcun riferimento alle sue origini, limitandosi a mettere in evidenza un naso etrusco oggettivamente autorevole (e lo dico da autorevole naso-dotato). Perché ogni forma di antisemitismo – come ogni altra forma di razzismo – va combattuta senza se e senza ma. Sempre e da tutti.
Ragione per la quale ho espresso in altro mio post piena solidarietà ad Helly Schlein per quella orribile pagina, e l’invito a vergognarsi (ed era la seconda volta che lo facevo quel giorno, dopo averlo fatto in un articolo pubblicato sempre su Il Riformista) rivolto a Marco Travaglio, direttore del Fatto Quotidiano.
Non sono un estimatore di Elly Schlein perché non ritengo, limitandomi a leggere la sua biografia, che abbia il pedigree di chi conosce davvero, per esperienza diretta e reale, le difficoltà degli ultimi. E, soprattutto, quelle dei lavoratori, a cominciare da operai, contadini, disoccupati, precari, giovani e meno giovani. Che dovrebbero essere invece il serbatoio elettorale, e rappresentare l’attenzione principale di una vera sinistra. Ho l’impressione invece, o forse il “pregiudizio”, lo confesso, che sia più il simbolo di quella “gauche caviar”, o sinistra da Ztl internazionale che, occupandosi più di battaglie di genere e di élites trolley dotate, ha contribuito ad allontanare dalla politica, e dalla stessa Europa unita, milioni di cittadini il cui vero e prioritario problema è quello di non arrivare al quindici del mese.
Ma spero ovviamente di sbagliarmi. Perché, così come il nostro Paese ha bisogno di una destra (o centro destra) democratico, ha assolutamente bisogno di avere anche una sinistra, altrettanto democratica. E che solo dalla loro contrapposizione dialettica, ed alternanza di governo, possa trovarsi la sintesi ed il bene comune dei cittadini.
Fatta questa premessa, qualche giorno fa, discutendo con una mia giovane amica che condivideva le mie stesse ragioni di “pregiudizio” verso la nuova Segretaria del PD, ho dovuto tuttavia incoraggiarla a prendere atto che Helly Schlein, come Giorgia Meloni, è ciò che passa oggi – e grazie a Dio in modo democratico – il “Convento Italia”. E come tale vanno entrambe rispettate, perché elette dai cittadini.
Ed è ciò con cui dobbiamo fare i conti ed affidare le nostre speranze.
Almeno le mie, di Patriota italiano ed europeo. Che, come tale, ho sempre tifato e sempre continuerò a tifare, per il bene – nell’unità, nella democrazia e nella libertà sancite dalla Costituzione e dai Trattati Ue – delle mie due Patrie. L’Italia e l’Europa unita.
E dovremo farlo finché non ci saranno altre personalità – che francamente non vedo al momento all’orizzonte – che possano e sappiano fare meglio di loro.
Quindi, dopo la mia più grande perplessità iniziale, manifesto ora, forse grazie all’aiuto delle preghiere a San Francesco, la mia pur moderata soddisfazione e speranza (che non vuol dire illusione) per avere alla guida del Governo e del principale partito di opposizione, per la prima volta contemporaneamente, due giovani donne.
Aspettando ovviamente di vedere cosa saranno entrambe capaci di fare. E nella certezza che continuerò a non fare sconti di giudizio a nessuna delle due. Pur dopo essermi liberato dallo stesso pregiudizio che avevo, per ragioni diverse dalla Schlein, nei confronti di Giorgia Meloni. La quale, al di là di ogni considerazione di carattere politico, e dei limiti personali di ogni essere umano, ai quali neppure i migliori leader possono sfuggire, mi ha già dimostrato di essere senza alcun dubbio una Donna di qualità, dotata soprattutto di grande coraggio ed onestà intellettuale.
Forse perché in vita mia ho praticato – e non da spettatore – soprattutto sport individuali, come la scherma, e molto poco le curve degli stadi, ma soprattutto perché sono sempre stato, e continuo a considerami oggi, anche se non più in servizio, un leale servitore delle Istituzioni democratiche, il tifo da stadio ed i cori ideologici non sono nelle mie corde. Da sempre. E non possono diventarlo ora che faccio parte dei dinosauri da abbattere, quale giornalista e battitore libero e indipendente.
Da questa prospettiva, che riconosco essere piuttosto privilegiata, non avendo nessuno cui dover rendere conto, al di fuori della mia coscienza, il più sincero augurio che sento il dovere di porgere al mio Paese, è che possa essere capace di approfittare della dialettica democratica che deve instaurarsi tra queste due giovani donne. Dialettica che, nell’interesse della democrazia e del Paese, potrà e dovrà essere anche molto dura. Ma, lo spero vivamente, sempre nel rispetto dell’avversaria. Che mai dovrebbe essere considerata nemica. Come purtroppo è avvenuto ed avviene da troppo tempo in Italia. Patria di troppi girotondi anti-qualcosa che, evocandoli, rischiano di resuscitare fantasmi del passato, uccidendo il futuro del nostro Paese.
Ho considerato davvero un bellissimo gesto la partecipazione di Giorgia Meloni al congresso nazionale della Cgil. Al pari dell’invito e della cortesia istituzionale dimostrata dal suo leader, Maurizio Landini, e dalla stragrande maggioranza dei presenti. Nonostante l’abbandono della sala, col sottofondo di coretti “Bella ciao”, da parte di uno sparuto gruppo di partecipanti.
Prove tecniche di dialettica civile e democratica? Lo spero vivamente.
Come spero vivamente che l’Italia, grazie anche a queste due giovani donne-leader, e nonostante le loro molto diverse prospettive rispettive, inizi a dimostrare di essere capace di dare più spazio anche (che non significa soltanto) a giovani donne. Ma anche (e non soltanto) a giovani uomini. Per provare a migliorare davvero questo Paese. Alla condizione però che non siano scelte e scelti solo sulla base di genere ed anagrafe ma, soprattutto, delle capacità effettive e concrete che hanno saputo dimostrare nella loro vita.
Giovani donne e giovani uomini che, prima di aspirare a diventare leader, dovrebbero però dimostrare anche il coraggio, e la capacità, di esprimere la propria voce e le proprie proposte concrete per la soluzione dei problemi reali che attanagliano il Paese. Senza limitarsi agli estenuanti e sterili slogan da stadio, da propaganda elettorale e da talk show, che ci hanno ormai sfiniti.
Mettendoci cioè la faccia e assumendo anche il rischio di dire cose che non riscuotono consenso nel breve periodo, o migliaia di like sui social. Ma guardando al futuro del nostro Paese. Senza mai dimenticare il monito di Winston Churchill, secondo il quale «il politico diventa uomo di stato solo quando inizia a pensare alle prossime generazioni, invece che alle prossime elezioni».
Ma anche nella consapevolezza – perché sono moltissimi i casi recenti che lo hanno dimostrato – che non è assolutamente sufficiente essere donne, e nemmeno giovani, per fare meglio di quanto fatto da tanti dinosauri della mia generazione e di quelle precedenti, che hanno impantanato e vorrebbero continuare ad impantanare il nostro povero Paese. Generazioni di baby boomer che, in Occidente, e non solo in Italia, sono cresciute nel benessere economico, nella libertà e nella sicurezza ricevuto in regalo dai sacrifici dei propri genitori e nonni. Coltivando miti libertari da figli dei fiori e adepti del Peace and Love. Dimostrando però nei fatti di non essere stati capaci di conservare e trasmettere ai propri figli e nipoti l’eredità ricevuta. Ma nemmeno di salvare il pianeta dalla stupidità e dall’avidità umana, a cominciare dal rischio, oggi più che mai incombente, di un terzo conflitto mondiale. E persino di un olocausto nucleare.
Spero i miei più giovani lettori accettino questa filippica da dinosauro. Che è tuttavia affettuosa e animata da buone intenzioni, oltre che da autocritica generazionale.
Perché vorrebbe prevenire la guerra intergenerazionale, che vedo già più pericolosamente all’orizzonte di quella ideologica, prima che i giovani di oggi divengano dinosauri.
Anagraficamente o, ancora peggio, mentalmente.