Alessandro Butticé

Immunità parlamentare: due pesi e due misure?

19 Giugno, 2025

Eurocomunicazione, 19 giugno 2025

Tre aspetti paralleli che non devono e non possono collidere o risultare in contraddizione o alternativi tra loro

«Se la commissione il 24 giugno, e poi la plenaria i primi di luglio, dovessero votare per la revoca della mia immunità, si riaprirebbe il processo a mio carico in Ungheria. Da Budapest potrebbe venire emesso un mandato di cattura e potrei essere arrestata in Italia o a Bruxelles, mentre sono al lavoro».

Lo ha recentemente dichiarato alla Stampa l’europarlamentare Ilaria Salis, eletta come tale nelle file di Alleanza Verdi e Sinistra, per consentirle di uscire dal carcere ungherese, coperta dall’immunità parlamentare.

Come ho affermato più volte, ed in particolare durante l’evento del Circolo Culturale Esperia del 3 febbraio 2023, a Bruxelles (Qatargate: problema antico o attacco alla democrazia europea?), ripreso da Aise, sono un convinto sostenitore dell’immunità parlamentare. Perché si tratta di uno strumento essenziale per garantire l’indipendenza dei membri del Parlamento Europeo, e per permettere loro di svolgere le proprie funzioni senza indebite pressioni o interferenze. Anche a mezzo di un uso improprio delle attività giudiziarie e di polizia.

Immunità mai alibi o scuto per corruzione e illegalità ma garanzia di democrazia

Tuttavia, come ho sottolineato in quell’occasione, l’immunità non deve mai diventare uno scudo per proteggere comportamenti che esulano dall’ambito della funzione parlamentare o per sottrarsi alla giustizia per reati comuni.

In modo particolare (l’ho sottolineato a caldo, e lo ribadisco oggi, oltre due anni dopo, l’esplosione mediatica dl caso) che il Qatargate, e forse anche il più recente Haiwaigate, impone serie riflessioni su tre binari paralleli. Che non devono e non possono collidere o risultare in contraddizione o alternativi tra loro.

Il primo, è quello della tolleranza zero per ogni tipo di corruzione all’interno delle Istituzioni Ue. Ed in modo particolare al Parlamento europeo, dove il rispetto delle regole etiche, a volte, è apparso essere molto discutibile da parte di alcuni eletti.

Il secondo, quello della necessità di proteggere l’Ue e la democrazia, sulla quale gli stati membri dell’Ue si basano, da influenze e attacchi esterni. Che possono avvenire a mezzo di corruzione, ma anche da regali avvelenati alle autorità giudiziarie degli Stati membri.

Il terzo, quello dell’accensione di un faro europeo sul sistema giudiziario e carcerario del Belgio. Paese che ha l’onore, ma anche l’onere, di ospitare le sedi delle principali Istituzioni Ue. Assieme a Bruxelles capitale europea. Faro che sembra necessario accendere dopo le denunce degli avvocati della vicepresidente del Parlamento Europeo Eva Kaili. Su un problema che per molto tempo non ha interessato nessuno. Né a livello di opinione pubblica né della politica. Sia belghe, che europee. Nonostante una vice-presidente del Parlamento europeo sia stata tenuta in carcere per quattro mesi, prima di subire un processo ed una condanna, e senza che ancora si sappia quale atto di corruzione abbia commesso.

Gli errori nel Qatargate non debbono ripetersi

Continuo a ritenere che il Parlamento europeo avrebbe avuto l’obbligo, nel caso di Eva Kaili, di accertarsi della fondatezza delle accuse, prima di consentire non tanto la levata dell’immunità, ma l’arresto preventivo in carcere. Era un suo diritto, ma anche un dovere. A tutela non della signora Kaili, peraltro madre di una giovane bimba, ma dell’indipendenza dell’Istituzione e delle funzioni parlamentari da ogni forma di pressione esterna, evitando di creare quello che rischia di essere un pericolosissimo precedente.

Cosa potrà dire e fare il Parlamento europeo il giorno che in uno Stato membro qualunque, mutatis mutandis, dovesse essere arrestato un vicepresidente del parlamento nazionale, col pretesto di una indagine nazionale, svolta in parte da servizi segreti nazionali e stranieri (come accaduto in Belgio), magari per omicidio, dopo aver trovato una pistola fumante (la valigia con i soldi, nel Qatargate) in mano al compagno della parlamentare, ma senza aver ancora trovato, a distanza di quasi tre anni, il cadavere della vittima (cioè l’atto della corruzione)?

Penso che gli errori da parte del Parlamento europeo nel Qatargate – sul comprensibile timore che l’opinione pubblica non avrebbe compreso un rifiuto della levata dell’immunità di fronte alla valigia piena di soldi – dovrebbero servire da lezione per evitare di ripeterli nel cosiddetto Huawey Gate. Nel quale, anche se è troppo presto per avere un’idea più precisa, sembra essere stata richiesta la levata di immunità anche per la semplice partecipazione di alcuni parlamentari ad una cena a Bruxelles con lobbisti. Uno dei quali persino quando non si trovava a Bruxelles e non era ancora in funzione.

Garantire che Ilaria Salis si difenda nel processo (a piede libero), ma non dal processo

Ritengo però che questa lezione degli errori che mi permetto di pensare siano stati fatti, non debba diventare un alibi o una giustificazione per rifiutare la richiesta di levata dell’immunità da parte dell’Ungheria per l’europarlamentare italiana Ilari Salis

Perché, come detto, l’immunità parlamentare non soltanto non deve essere un indebito scudo per il compimento di atti illeciti che nulla hanno a che fare con la propria attività parlamentare. Ma non deve neppure essere applicata per un fatto commesso prima di essere eletta, e che non ha nulla a che vedere con l’esercizio delle funzioni parlamentari, come quello di cui è accusata la Salis. Che, peraltro, è stata eletta da cittadini di un altro Paese (l’Italia) rispetto a quello in cui avrebbe commesso le ipotesi di reato di cui è accusata (l’Ungheria), unicamente per sottrarsi al processo.

A chi vorrebbe approfittare della discutibile rapidità con cui è stata non solo tolta l’immunità parlamentare, ma persino consentito l’arresto dell’europarlamentare greca, a beneficio di Ilaria Salis, segnalo che si tratta di un presunto (perché vale la presunzione di non colpevolezza sino a condanna) reato comune, commesso prima dell’elezione e senza alcun legame con le sue future funzioni parlamentari. Assunte, peraltro, unicamente per difendersi dal processo e non nel processo (come tanti invocavano per Silvio Berlusconi, mentre non dimostrano la stessa coerenza con la Salis).

Invito inoltre i difensori italiani di Ilaria Salis, ad immaginare il caso di uno straniero che abbia commesso simili ipotesi di reato in Italia e venga poi sottratto alla giustizia italiana con lo stesso espediente elettorale. Non è questa la democrazia e lo stato di diritto UE in cui personalmente credo.

Pertanto, mi auguro che il Parlamento europeo voti la revoca dell’immunità parlamentare a Ilaria Salis, magari senza autorizzare l’arresto fino a eventuale condanna passata in giudicato. Obbligandola tuttavia a difendersi dalle accuse nel processo, durante il quale beneficerà di un’attenzione politica e mediatica che altri comuni mortali, compresi i tanti altri italiani detenuti all’estero, non hanno.

Nel frattempo, è essenziale che il Parlamento continui a vigilare con la massima attenzione su casi come Qatargate e Huawey Gate. Adottando una linea di tolleranza zero contro corruzione altri atti illeciti, in linea con le raccomandazioni, non sempre seguite, dell’Ufficio europeao per la lotta alla Frode (OLAF) al termine delle proprie indagini. Ma proteggendo anche l’integrità delle istituzioni europee, ed in altri termini della stessa democrazia, quando riguarda eletti al Parlamento, da influenze esterne. Garantendo che l’immunità parlamentare non venga mai utilizzata impropriamente per ostacolare le indagini e la giustizia. Dura lex sed lex, dicevano gli antichi. Ed è qualcosa che dovrebbe restare attuale e ancora di moda. Per tutti.