Alessandro Butticé

Tra politichese e sorrisi fuori luogo, le istituzioni Ue non comunicano bene

29 Agosto, 2025

L’Identità, 29 agosto 2025

La comunicazione delle istituzioni Ue resta il tallone d’Achille dell’Unione. A Bruxelles continuano a prevalere toni burocratici, frasi interminabili, formule pensate più per compiacere gli addetti ai lavori che per parlare ai cittadini. Un linguaggio che diventa muro, non ponte. Si aggiunge un’immagine mediatica a volte fuori fuoco: foto ufficiali che ritraggono i vertici UE con sorrisi smaglianti anche quando il contesto imporrebbe maggiore sobrietà o dolore. Una narrativa visiva che stride con la realtà delle crisi – guerra, pandemia, recessione – e che può contribuire per minare la credibilità delle istituzioni. Nonostante il tanto lavoro, troppo spesso dileggiato, che i suoi membri e funzionari svolgono diuturnamente per i cittadini.

Meloni & Draghi vs Bruxelles

Il contrasto è evidente se si guarda ai discorsi di Giorgia Meloni e Mario Draghi al Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini. Efficaci, potenti, comprensibili.

Il “politichese” brussellese è l’esatto opposto. Secondo alcuni critici è «un flop»: comunicazione incoerente, frammentata, incapace di creare un vero spazio pubblico. Mentre altri parlano di “smobilitazione cognitiva”: messaggi svuotati di senso, che non generano dibattito. Bruxelles comunica, ma non parla davvero ai cittadini.

Alcune eccezioni virtuose

Vi sono certamente anche eccezioni virtuose: come l’OAFCN, la Rete dei Comunicatori Antifrode dell’OLAF. Fondata nel 2001, all’epoca del Direttore generale Franz Hermann Bruener, è un network paneuropeo che riunisce i responsabili della comunicazione antifrode nazionale, come quelli di Guardia di Finanza, Carabinieri, Polizia di Stato e Dogane. Il suo scopo è di combattere le frodi attraverso l’informazione dei cittadini, un dialogo permanente, condivisione di best practice e iniziative congiunte di comunicazione a livello locale. Un esempio concreto di “go local”, che dimostra come l’UE possa raggiungere i cittadini con messaggi mirati, tangibili e credibili, soprattutto nelle aree più vulnerabili. Facendo parlare di Europa non solo Bruxelles ma, soprattutto, i suoi attori nazionali e locali.

Altro esempio positivo, quello dell’Entreprise Europe Network della Commissione europea. Quando Vicepresidente responsabile delle imprese e dell’Industria era Antonio Tajani. E quando, per una campagna radiofonica sugli aiuti alle PMI, si utilizzarono testimonial e speaker non solo nazionali, ma anche locali, con accenti linguistici regionali e dialettali.

Due lettere aperte ai vertici delle Istituzioni Ue

Chi scrive, sulla scorta della sua personale esperienza all’interno delle Istitutuzioni Ue, ha già avuto modo di denunciare questo fatto in due lettere aperte ai vertici delle istituzioni europee, all’inizio della pandemia ed a febbraio di quest’anno. Con critiche – sempre costruttive – alla progressiva trasformazione della Commissione in un mero segretariato del Consiglio, composto e dominato da governi nazionali, votati all’egoismo spesso ottuso. Ma anche alla rinuncia di Bruxelles a parlare con chiarezza, e a stigmatizzare chi scarica le responsabilità su di essa, quando sarebbe invece necessario alzare la voce.

Il problema non è solo cosa comunica l’Ue, ma come lo fa. Soprattutto l’Istituzione che deve difendere solo gli interessi unionali: la Commissione europea.

Il confronto con Draghi e Meloni è significativo. Essi a Rimini hanno parlato, seppure con accenti e toni diversi, una lingua politica fatta di chiarezza, semplicità e messaggi anche emotivi, oltre che cerebrali. Bruxelles, invece, resta ancora troppo imbrigliata al linguaggio criptico e in un’immagine troppo sorridente e trionfalista che, lungi dal rassicurare, a volte finisce per irritare.

Tre mosse urgenti

Per cominciare ad invertire la rotta, a mio avviso, servono innanzitutto tre mosse urgenti.

Abbandonare il burocratese e adottare un linguaggio chiaro, empatico e che le rappresentanze negli Stati membri di Commissione e Parlamento europeo devono essere capaci di adattare (non solo limitarsi a tradurre, quando lo fanno) alle realtà locali. 

Raccontare storie vere: mostrare come le decisioni europee incidono sulla vita quotidiana a livello locale.  Ed anche questo sarebbe lavoro delle rappresentanze di Commissione e Parlamento negli Stati membri.

Rivedere l’immagine pubblica. Ci sono momenti in cui un volto serio, consapevole, parla più di mille sorrisi diplomatici. 

Draghi e Meloni hanno dimostrato che identità nazionale ed europea possono (e devono) convivere in un messaggio forte. L’Ue, se vuole restare rilevante, deve imparare a fare la stessa cosa: non apparire più un club di burocrati sorridenti, ma un’Unione capace di empatia, verità e concretezza che sappia essere “go local”: vicina ai cittadini.