Alessandro Butticé

Quando, anche in strutture che dovrebbero essere ispirate dal coraggio, continua a mancare quello di «sapersi accontentare»

13 Aprile, 2025

Sono spesso (che non significa sempre) d’accordo con gli scritti del Col. dei Carabinieri in congedo Salvino Paternò. Che é collega d’Accademia del mio stimato amico, Gen. C.A. degli Alpini, in congedo, Massimo Panizzi, che me ne ha sempre parlato molto bene.
Sono in gran parte d’accordo col testo pubblicato oggi sulla sua pagina Facebook,e che riporto di seguito.

Lo faccio perché le ragioni del suo commento sono analoghe a quelle da me raccontate a proposito di altri che, in Italia (troppi) e non solo, non dimostrano avere quello che io, in altri miei scritti, ho già definito «Il coraggio di sapersi accontentare». E, quando manca questo coraggio, viene da chiedersi, come mi sono chiesto per le ragioni spiegate in due miei articoli nel 2020 sul Riformista e nel 2023 su Eurocomunicazione, se sia davvero un bene che, da anni, i vertici delle nostre Forze di Polizia (Polizia di Stato, Carabinieri e Guardia di Finanza) provengano solo dal loro interno.

Non essendo un «talebano», ritengo che ogni regola, anche etica, vada applicata con grammi di esempio personale, più che quintali di parole e di giudizi sugli altri. E che, cercando di essere sempre più intransigenti con sé stessi che con il prossimo, non debba neppure farsi di tutta l’erba un fascio. Valutando invece caso per caso e privilegiando sempre e solo il merito, oltre che l’interesse pubblico.

Confesso tuttavia che il mio giudizio personale potrebbe anche essere falsato dall’’avere avuto tra i miei Maestri, e anche modelli di Militaritá, un grande Comandante Generale della Guardia di Finanza come il Generale Gaetano Pellegrino, da molti definito non a caso un asceta della vita militare.
Accingendosi a lasciare il comando delle Fiamme Gialle, questo grande Generale Gentiluomo mi confessò: “dopo aver avuto il grandissimo onore di essere stato il Comandante Generale della Guardia – come amava chiamare la Guardia di Finanza – potrei essere disponibile solo per un’altra funzione: quella di Pontefice. Ma, poiché so di non averne le qualità, non potrò accettare nessun altro incarico”.

Uno spirito che non sembra essere lo stesso di cui parla nel suo post Salvino Paternò e che attribuisce ai comandanti sempre più manager e meno Comandanti.

Buona lettura, e intelligenti pauca.

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“Apprendo, senza alcun stupore, che l’ex Comandante Generale dei Carabinieri, in pensione, è stato appena nominato presidente di Italtel, una multinazionale che si occupa di telefonia e progettazione di reti e servizi digitali.
Ma anche il suo predecessore ha trovato impiego, quale Commissario Straordinario, nell’ACI, l’ente pubblico automobilistico che, sebbene più volte se ne fosse annunciata la soppressione, è tuttora ben presente tra gli apparati burocratici che gravano sulle spese pubbliche.
E sono convinto che se facessi una ricerca a ritroso, troverei tutti gli ex gallonati pensionati, ben piazzati in qualche prestigioso incarico pubblico o privato.
Per carità, non sono così ingenuo da chiedermi quali competenze possono mai avere per ricoprire ruoli che richiedono specifiche conoscenze tecniche.
So perfettamente che i loro mandati si limitano a ben remunerate funzioni di rappresentanza e supervisione.
Diciamo che, forse ancor più ingenuamente, mi chiedo quanto possa essere stimolante, per chi si è interessato per una vita di sicurezza e ordine pubblico, soprintendere centrali e centralini di telecomunicazione, carte di circolazione e certificati di proprietà…
Ma soprattutto mi chiedo: qual è il bisogno insopprimibile che li spinge a bramare una poltrona?
Non è certo l’esigenza economica stante la lauta pensione d’oro.
Eppure, per costoro ricoprire un prestigioso incarico, dopo il pensionamento, diviene un parametro vitale, una vera e propria necessità primaria.
Hanno ottenuto il potere e se ne sono inebriati a tal punto che non ne possono più fare a meno.
Un potere non strumentale per il conseguimento di specifici obiettivi, ma fine a se stesso.
Autocelebrativo.
E ora è come se vivessero nel terrore di esserne spogliati, perché così perderebbero la propria essenza vitale, sarebbe come se la propria anima, disancorata da un incarico che gli conferisse autorevolezza, si dissolvesse.
Sono condannati ad identificarsi in un ruolo pubblico non riuscendo più a farlo con un profilo privato.
Figure mitologiche: mezzi uomini e mezze poltrone…
No, non sono così ingenuo da contestarne l’inadeguatezza.
Servono indubbiamente ampie doti da manager.
E nell’Arma da tempo l’Ufficiale tende a trasformarsi da Comandante a manager.
La differenza è sostanziale.
Il Comandante sta in prima linea con i suoi collaboratori e li difende dagli attacchi ingiusti.
Il manager è un animale a sangue freddo. Dà le direttive senza scendere in campo e se deve tagliare teste lo fa senza tanti scrupoli.
Per cui, non c’è problema alcuno, loro sono degli ottimi manager e faranno benissimo!
C’è un’ultima domanda che mi pongo:
ma è un buon esempio quello che trasmettono ai Carabinieri?
Ovviamente per ottenere quegli incarichi devono far ricorso alle conoscenze ed alle relazioni che hanno intessuto artatamente nella loro carriera.
E allora mi sovviene una massima che, nei tempi preistorici in cui mi arruolai, ci ripetevano spesso i vecchi ufficiali:
«Ricordatevi sempre che dovete servire l’Arma e mai servirvene!».
Chissà se lo dicono ancora…
E se lo dicono, con che faccia lo fanno…”

(Salvino Paternò)